«Darei la vita per non morire» di Marina Neri
La coraggiosa testimonianza di una giovane che ha saputo combattere fino alla fine senza mai arrendersi. Marina nasce ad Alzano Lombardo nel 1977, cresce e studia a Bergamo sino al conseguimento del diploma liceale, dopodiché si iscrive allo IULM di Milano dove si laurea nel 2001. Un anno prima della Laurea, Marina scopre di essere colpita da un raro tumore osseo e da quel momento la Sua vita scorre per dieci lunghi anni, nell’alternanza di emozioni forti fra paura, mortificazione fisica, dolore e tenacia in un credo d’amore per la vita, per i Suoi cari, per gli amici.
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A 22 anni, nel pieno della vita e con un futuro ricco di aspettative, Marina è stata messa alla prova da un nemico formidabile: un condrosarcoma a cellule chiare, tumore raro della cartilagine ossea e dei tessuti molli. Non si è tirata indietro. Per nove anni ha combattuto la battaglia con coraggio e lucidità, con le immancabili debolezze e gli scoramenti, riuscendo però a mantenere per intero femminilità e umanità. Ha lottato Marina, che amava il mare, Parigi e San Francisco. E alla fine, pur sconfitta, ha vinto. Ha vinto perché ha voluto donare a tutti una testimonianza di quella che l’odierna psicologia chiama resilienza, cioè la capacità del malato di assorbire un «urto» come la malattia, senza però «frantumarsi» ma addirittura migliorando. Il dono è diventato un libro: «Un punto nero nell’immenso azzurro del mare». Il titolo originariamente dato da Marina al suo diario era «Darei la vita per non morire», titolo paradossale di enorme suggestione emotiva rinvenuto casualmente solo dopo la pubblicazione del libro, a cui è stato comunque attribuito un titolo preso a prestito da una frase di Marina che svela per intero il suo modo di essere: «Il nero nel mare lo vedi solo se ti fissi. Io preferisco concentrarmi sul movimento delle onde mai uguali fra loro, sul loro profumo. Sul blu meraviglioso».LEZIONE DI VITA - Non si può non restare colpiti dalla vicenda umana di questa ragazza dal sorriso dolce e accattivante. Nel 2000, un anno prima di laurearsi, un dolore insopportabile al ginocchio sinistro la porta a fare un esame più approfondito in ospedale. Il verdetto: «Can-cro: due sillabe, una vita in frantumi - scrive Marina -. Forse un monito più che una condanna, forse una lezione di vita. Dura da accettare ma forse chissà indispensabile per iniziare a cambiare. Chi conosce la mia storia la definisce una tragedia, una disgrazia. Io semplicemente dico che è esperienza». Per quasi dieci anni, Marina vive su un ottovolante di sensazioni ed emozioni, tra diversi ospedali in Italia e negli Stati Uniti, il corpo martoriato da interventi e terapie che solo a descriverle trasmettono dolore vivo. In mezzo a questo oceano di sofferenza, però, la famiglia e gli amici si ergono come porti sicuri. La malattia abbatte ogni steccato: il papà, Manlio, e la mamma, Giulia (separati da quando Marina aveva 13 anni); Sue, la nuova compagna di Manlio, e la figlia Tess diventano la sua nuova famiglia “allargata”.