Cassazione, nuovo principio di diritto: licenziato il lavoratore che usa il permesso della legge 104 per aiutare la moglie al negozio.
Respinto il ricorso del dipendente che dedica solo 50 minuti alla madre disabile: leso il rapporto fiduciario perché il beneficio implica per il datore un sacrificio giustificabile solo per esigenze gravi
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È legittimo il licenziamento del lavoratore che usa il permesso della legge 104 per aiutare la moglie al negozio di cui è la titolare. Lo ha stabilito oggi la sezione lavoro della Cassazione con l’ordinanza 28606/21. Respinto il ricorso di un dipendente che, durante il congedo, aveva dedicato meno di un’ora al familiare disabile: la condotta ha leso il rapporto fiduciario con il datore in quanto il beneficio comporta un sacrificio organizzativo di lavoro giustificabile soltanto per esigenze gravi. Piazza Cavour ha ricordato che «in tema di congedo straordinario ex articolo 42, comma 5, del decreto legislativo 151/01, che l’assistenza che legittima il beneficio in favore del lavoratore, pur non potendo intendersi esclusiva al punto da impedire a chi la offre di dedicare spazi temporali adeguati alle personali esigenze di vita, deve comunque garantire al familiare disabile in situazione di gravità, di cui all’articolo 3, comma 3, della legge 104/92, un intervento assistenziale di carattere permanente, continuativo e globale. Soltanto ove venga a mancare del tutto il nesso causale tra assenza dal lavoro e assistenza al disabile, si è in presenza di un uso improprio o di un abuso del diritto ovvero di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro che dell’ente assicurativo che genera la responsabilità del dipendente». Insomma, i permessi devono essere fruiti in coerenza con la loro funzione e in presenza di un nesso causale con l’attività di assistenza. Nella sua sentenza, di cui ha scritto il sito Cassazione.net, rileva Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, nel caso in concreto il giudice spiega come il fatto che il dipendente si fosse recato sul posto di lavoro della moglie non è risultato compatibile con l’espletamento di attività assistenziale. Non solo: per il Palazzaccio, concorde con il giudice di merito, non è sufficiente quanto assunto dal ricorrente, ossia di essersi trattenuto per meno di un’ora presso la propria abitazione per preparare un pasto per la madre, non convivente, a dimostrazione della perdurante assistenza in favore della stessa. Infine, il collegio ha evidenziato che, in generale, le energie impiegate dal dipendente per l’assistenza prestata al disabile non possono essere utilizzate per esigenze diverse; e che il beneficio comporta un sacrificio organizzativo per il datore di lavoro giustificabile solo in presenza di esigenze riconosciute dal lavoratore e dalla coscienza sociale meritevoli di tutela.